Introduzione
Durante il conflitto i prigionieri erano considerati degli ‘sventurati e svergognati’. Secondo i comandi militari furono i responsabili del disastro di Caporetto, in cui 280 mila soldati caddero nelle mani del nemico senza combattere. Dal libro di Isnenghi-Rochat ricaviamo un po’ di dati: 260 mila furono i prigionieri catturati prima di Caporetto, 280 mila, come detto, nel corso della rotta, 50 mila nell’ultimo anno di guerra, in tutto circa 600 mila, di cui 19,500 ufficiali. I prigionieri rimpatriati tra novembre 1918 e aprile 1919 furono 485.145. I morti in prigionia furono circa 100.000, di cui 49.435 nei vari campi di concentramento i rimanenti dopo il dicembre 1918 per le ferite e malattie contratte durante la prigionia o in guerra.
Non tutti i prigionieri erano il frutto di azioni militari. Molti, in realtà, si ‘lasciarono’ catturare, fuggendo dalla prima linea e presentandosi nei pressi delle postazioni nemiche. Era una scelta disperata ma dettata dalla speranza di trovare, nei campi di prigionia, delle condizioni migliori rispetto a quelle in trincea.
La maggior parte dei prigionieri italiani venne portata a Mauthausen, a Theresienstadt (Boemia), a Rastatt (Germania meridionale) ed a Celle (vicino Hannover), parecchi furono utilizzati nei cantieri, negli opifici, nei boschi a far legna o nelle fattorie. Sul trattamento dei prigionieri di guerra esisteva la convenzione dell’Aja, firmata da 44 stati, secondo la quale i prigionieri dovevano ricevere la stessa razione di cibo destinata ai soldati dell’esercito che li aveva catturati. Ma, ovviamente, le contingenze del momento non poterono garantire questo diritto: col passare del tempo i prigionieri aumentavano e, parallelamente, le risorse diminuivano.
La detenzione fu per tutti un’esperienza molto difficile. La mancanza di riscaldamento nelle baracche e di vestiti pesanti rendeva insopportabile il freddo pungente mentre il rancio era davvero scadente. Data la grandissima penuria di farina all’interno dell’Impero, spesso questa veniva mischiata con della polvere derivata dalla macinazione delle ghiande o della paglia mentre al posto della pasta veniva loro distribuita una sorta di zuppa di patate e cavolo. I prigionieri di guerra vissero generalmente in condizioni pietose, subirono la fame, le epidemie, condizioni igieniche precarie e occasionali episodi di crudeltà, ma non sistematici atti di atrocità. Francia ed Inghilterra e altri paesi deliberarono di inviare ai loro concittadini prigionieri quantità sufficienti di cibo per integrare la misera dieta a cui erano sottoposti. Al contrario l’Italia rifiutò qualsiasi intervento, lasciando solo ai familiari e a organizzazioni umanitarie come la Croce Rossa il compito degli aiuti. Dopo Caporetto la situazione peggiorò per tutti, ufficiali compresi.
Circa 100.000 italiani catturati dagli austro-ungarici e dai tedeschi non fecero più ritorno dalle loro famiglie. Gli stenti, la fame, il freddo e le malattie (prima fra tutte la tubercolosi) furono le principali cause di questo grande numero di decessi.
La Croce Rossa
Nell’agosto del 1914 la Croce Rossa creò la prima agenzia internazionale per i prigionieri di guerra chiamata a ripristinare i collegamenti con i soldati, i prigionieri civili separati dai combattimenti. La vediamo in azione anche per i prigionieri monselicensi il 23 marzo 1918, con una nota al sindaco comunicò che i soldati monselicensi Giuseppe M. e Angelo R. non erano nell’elenco dei prigionieri di guerra. Non è da escludersi – continuava la lettera – che nel frattempo possano giungere dirette notizie dai prigionieri, dato che, per speciale interessamento di questa commissione, è concesso ai militari, appena catturati, di poter corrispondere con le famiglie. Le liste ufficiali dei prigionieri erano trasmesse periodicamente alla croce rossa dai paesi belligeranti.
Correspondance des prisonniers de guerre
Una volta accertata la condizione di prigionia del congiunto, iniziavano le tribolazione dei rapporti epistolari. Le norme prevedevano la possibilità di spedire lettere di non oltre 60 righe e, preferibilmente, cartoline di non oltre 15 righe, scritte con caratteri chiari, facilmente leggibili per agevolare la duplice operazione di censura, effettuata sia da funzionari italiani, sia austro-ungarici. Le missive dovevano inoltre trattare esclusivamente di argomenti privati e famigliari, pena la loro distruzione. Abbiamo rinvenuto 3 lettere: due dai campi di concentramento verso casa e una sola che fece il percorso inverso.
Iniziamo con Modesto B. scrisse dal campo di concentramento di Mathausen alla moglie Rosina B. abitante a Solesino.
Carissima moglie con mia gioia farti sapere di mia salute alla presente mi trovo bene di salute cisì spero che siano anche di te uniti. Tutti i nostri cari figli e l’intera famiglia e parenti. Cara Rosina da molto tempo che io non ricevo le tue notizie spero in bene. Mi racomando di mandare a scuola i figli tanti baci tuti di famiglia parenti amici. Tuo marito Bovo Modesto baci.
Scrisse una lettera il 2 dicembre 1917 anche Pasquale B. alla moglie Amabile C. residente in via Isola verso il Monte. Purtroppo Pasquale prigioniero nel campo di concentramento tedesco di Lagerlaz Guben morì poco dopo.
L’ultima missiva che riportiamo è stata spedita dalla moglie Gabriella al campo di concentramento di Elecimminchen in Austria dove era detenuto B. Antonio, fatto prigioniero nel ‘fatto d’arme’ di Caneva di Tolmezzo il 30 ottobre 1917. Antonio fu liberato il 15 novembre 1918 per essere condotto al centro di raccolta dei prigionieri allestito a Piacenza d’Emilia. Per dimostrare di essere stato prigioniero presentò una lettera spedita dalla moglie il 17 luglio 1918 al campo di concentramento di Elecimminchen.
“Caro Marito, ti mando queste notizie per dirti che stiamo bene che ti mandiamo sempre i pacchi e che siamo abbonati alla Croce Rossa. Speriamo che una volta o l’altra qualche cosa ti arrivi. Ti mando i baci e i saluti di tutti. Tua Gabriella”
Altri soldati monselicensi prigionieri
Erminio C. abitante a Marendole, si trovava prigioniero dal 5 giugno 1917 a Marchtrenk. F. Pietro, matricola 19438, appartenente al 48° reggimento fanteria, catturato dal nemico e internato nel campo di concentramento austriaco di Sestino di Livenza il 15 giugno (?). Fortunato fu il caporale Guido Z. un telegramma del 18 luglio 1918 informò la famiglia che era fuggito dalla prigionia austriaca; si trovava in Italia e godeva di ottima salute. Sfortunato invece Domenico R. del 63° reggimento fanteria, al quale fu concessa una medaglia di bronzo al valor militare con decreto luogotenenziale 19 aprile 1917, ma gli venne successivamente revocata e considerata come non avvenuta la concessione della ricompensa al valor militare perché “fatta erroneamente alla sua memoria perché ritenuto morto in combattimento, mentre egli cadde prigioniero illeso nelle mani del nemico”. La vicenda di Giacomo C. merita un sorriso. Il comando militare nell’esaminare la sua domanda di esonero dei servizi di prima linea del 24 dicembre 1917 precisò che Giacomo era (ora) prigioniero internato in Germania ed in virtù di tale considerazione ‘è inutile chiedere l’esonero della prima linea’. Nel mese di dicembre 1918 rientrò in Italia Gustavo C. fatto prigioniero il 19 giugno 1918 dopo il combattimento di Nervesa. Ignoriamo quanti monselicensi furono fatti prigionieri.
Pacchi ai prigionieri monselicensi
Dall’estate del 1916, su iniziativa della Croce Rossa, venne data l’opportunità di inviare dei pacchi ai prigionieri. Pagando un abbonamento di circa 7 lire si acquisiva il diritto di far pervenire al prigioniero 8 chili di pane biscottato al mese in spedizioni da due chili ciascuna. Solo che tale cifra era al di fuori della portata di tanti indigenti. Così presero il via iniziative di solidarietà per garantire la sopravvivenza dei prigionieri poveri. Il 4 ottobre 1918 era attivo “l’ufficio – monselicense – notizie alla famiglie dei militari di terra e di mare” invio una lettera al sindaco:
Le difficoltà in cui si trovano le famiglie che hanno qualche congiunto prigioniero di guerra ad inviare loro i pacchi di generi alimentari … aumentano sempre più. Non si può pretendere che nemmeno una parte della razione individualmente assegnata dalla tessera viveri venga sottratta ai bisogni quotidiani, né tutte le famiglie possono sobbarcarsi di pagare l’abbonamento ai pacchi inviati dalla croce rossa perché oltre ad essere la quota relativamente alta esistono molti altri inconvenienti assolutamente insormontabili. Chiediamo quindi alla S.V. che in conformità a quanto avviene in vari altri comuni anche codesta amministrazione voglia assegnare al nostro ufficio pacchi per i prigionieri, contenenti un quantitativo mensile di pasta, riso e zucchero che provvederemo ad inviare equamente suddividendolo tra le famiglie interessate e garantendo che la merce sarà inviata direttamente ai prigionieri. Firmato la Presidente Zeni Lucia.
Era in programma anche una conferenza organizzata dalla marchesa Buzzaccarini, ma all’ultimo minuto l’oratore non si presentò. Qualche giorno l’invio della lettera, la Giunta assegnò all’Ufficio, kg 50 mensili di riso e kg 50 di pasta da inviare con dei pacchi – precisò di suo pugno il sindaco – ai prigionieri di guerra appartenenti alle famiglie povere del centro. Ma ancora al 4 aprile 1919 rimanevano dispersi molti monselicensi tanto che il sindaco chiese al ministro della guerra se avesse notizie sulla sorte dei prigionieri: B. Giuseppe, T. Angelo, B. Alfredo e C. Antonio. In tutto furono circa 43 i monselicensi che morirono in prigionia.
Nei mesi successivi a tutti i soldati che erano stati prigionieri fu concesso una indennità di prigionia di circa 80 lire.
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